DI ANTON ČECHOV
TRADUZIONE DANILO MACRÌ
CON FILIPPO DINI, SARA BERTELÀ, NICOLA PANNELLI, ANTONIO ZAVATTERI, ORIETTA NOTARI,
VALERIA ANGELOZZI, IVAN ZERBINATI, ILARIA FALINI, FULVIO PEPE
MUSICHE ARTURO ANNECCHINO, LUCA ANNESSI (ASSISTENTE)
SCENE E COSTUMI LAURA BENZI
LUCI PASQUALE MARI
ASSISTENTE ALLA REGIA CARLO ORLANDO
REGIA FILIPPO DINI
FONDAZIONE TEATRO DUE, TEATRO STABILE DI GENOVA
questa pièce deve essere vista. Ne va della vostra felicità
Simone Tempia, “Vogue”
Inizia con un lungo tramonto che cala sulla platea, con il pubblico a fare da paesaggio per il primo atto: la scena d’apertura dell’Ivanov diretto da Filippo Dini, anche sensibile protagonista (già apprezzato a Cesena ne Il discorso del re), immette direttamente nel cuore della vicenda immaginata da Čechov. Che, nella prima delle sue opere teatrali, scritta all’età di 27 anni, racconta l’ultimo anno di vita di un uomo fallito, alle prese con la propria incapacità di vivere: intorno si muove una società priva di ideali e senza prospettive, un microcosmo di figure grottesche condannate all’esistenza.
Ivanov, chiarisce il regista, incarna “la fine di ogni amore, non disillusione o delusione, ma la fine di ogni amore, per le leggi umane e divine, per gli uomini, per gli ideali, e quindi la fine di ogni speranza”.
Nell’affresco di un’umanità sull’orlo del baratro emerge la bruciante attualità di questo testo presago di una catastrofe, le rivoluzioni europee che di lì a poco spazzeranno via tutto il mondo conosciuto fino a quel momento. E di questa umanità al crepuscolo Ivanov è il virus letale, il tarlo che distrugge tutti i valori condivisi e trascina gli altri personaggi nella paralisi mentale.
Con un cast “in stato di grazia” che si muove in scena come un corpo unico, recitando per quattro atti con naturalezza e humor, la scoppiettante regia di Dini orchestra magistralmente uno spettacolo pieno d’azione, in perfetto equilibrio fra tragedia e farsa.
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